Qui e subito

 “Essere rivoluzionari comporta il rischio di non essere inteso ma le nuove percezioni e le nuove idee, soprattutto se profonde, hanno bisogno di manifestarsi”.

Pino Manos

L’artista , la sua terra d’origine, l’avanguardia, l’orizzonte cosmico

Pino Manos è un’artista italiano, di origini sarde, che vive la sua esperienza artistica nel rigoglioso panorama artistico del novecento, segnato dalla durezza delle due guerre mondiali e dal potente desiderio di rinnovamento che negli anni del dopoguerra anni dà vita a importanti riflessioni letterarie, poetiche e scientifiche in tutta Europa. Le opere di Pino Manos contengono tutta la riflessione concettuale e filosofica del novecento, percorso dai nuovi flussi di sperimentazione della materia e dello spazio che si dilata oltre la terza dimensione, ma si completa con una conoscenza più sottile, derivata dallo studio delle pratiche e delle antiche filosofie orientali, derivata dalla sua innata necessità di conoscere e sperimentare gli infiniti orizzonti della “forma vita”. Partito dalla sua isola emersa nel Mare Nostrum, terra archetipica, nuragica, di rocce e fondali meravigliosi, di pastorizia e povero artigianato, ha raggiunto la capitale dell’arte, Milano, città del design internazionale e delle neo-avanguardie, dell’illuminismo industriale e della letteratura impegnata e sovversiva, per aprire la mente alla scoperta di altre frontiere spirituali e scientifiche, raggiungendo mete lontane per essere iniziato alla scienza sacra dell’universo. La consapevolezza dell’esistenza di una materia invisibile – energia – che anima e muove ogni aspetto visibile e non del creato, dall’uomo all’universo, ha aperto in lui, dopo anni di intensa riflessione e ricerca, una modalità espressiva, che corre in parallelo con gli argomenti scientifici più avanguardistici, anticipandone talvolta la letteratura specialistica e la divulgazione.

 

Antefatto storico

Dai primi anni del novecento l’arte si è emancipata dalla funzione mimetica, cioè dal dover imitare la realtà visibile rispettando i canoni della tradizione accademica, e il naturalismo, interpretato a quel punto dalla fotografia, è stato superato dall’astrattismo. Per Wassily Kandinsky era chiaro si trattasse di una svolta spirituale: “In tutte le arti si avverte la tendenza all’antinaturalismo, all’astrazione e all’interiorità”. Le concezioni estetiche e filosofiche di Kandinsky erano state anticipate nel 1907 da Wilhelm Worringer autore di Astrazione ed empatia, e da Estetica di Theodor Lipp che parlava di interiorizzazione della sensazione estetica. Ma un ruolo importante nello sviluppo di elementi non figurativi classici è da imputare certamente al Simbolismo, che aveva indirizzato la ricerca degli artisti su percorsi spirituali e verso gli aspetti non oggettivi, nonché sull’energia psichica e quindi sull’invisibile. Il quadro non rappresentativo di Kandinsky (secondo Alexandre Kojève – non soggettivo o astratto ma oggettivo e concreto) era animato da un soffio spirituale:  “La pittura è un’arte, e l’arte non è l’inutile creazione di cose che svaniscono nel vuoto, ma è una forza che ha un fine, e deve servire allo sviluppo e all’affinamento dell’anima… E’ un linguaggio che parla all’anima con parole proprie, di cose che per l’anima sono pane quotidiano, e che solo così si può ricevere. Se l’arte si sottrae a questo suo compito rimane un vuoto, perché nessun altra forza può sostituirla”. Il pittore russo, non esente da slanci messianici, come anche il russo Kasimir Malevic, annunciava l’avvento di una nuova era, un regno spirituale, e per questo assegnava all’artista precisi doveri, come farsi servitore di ideali precisi, grandi e sacri. L’artista avrebbe così dovuto educarsi all’armonia con l’interiorità, quindi a raccogliersi nella propria anima, “curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia come il guanto perduto di una mano sconosciuta, una vuota e inutile apparenza”.

Grazie alla ‘fede’ nello spirituale nell’arte, si è aperto un campo di possibilità nuove e pressoché infinite, che hanno tracciato un prima e un poi nella storia dell’arte occidentale. Di esperienza in esperienza, di movimento in movimento, il linguaggio figurativo si è strutturato in modo specifico rivendicando un’autonomia totale. Intorno al 1929 Theo Van Doesburg scriveva: “Il quadro deve essere interamente costruito con elementi puramente plastici, vale a dire piani e colori. Un elemento pittorico non ha altro significato che ‘se stesso’”. Un’altra storia dell’arte è principiata con la libertà d’azione a vantaggio dell’immaginazione, estesa oltre i confini del visibile e del certo. Per Paul Klee la funzione dell’arte era abbastanza chiara avendo a che fare appunto con il non visibile: “L’arte non riproduce il visibile essa rende visibile. E la dimensione grafica, per la sua stessa natura, induce facilmente, e legittimamente, all’astrazione”. Esauriti gli ultimi residui iconografici e simbolici legati alla cultura antica e rinascimentale, l’artista si è costruito un vocabolario formale sintetico, essenziale, per organizzare un mondo a sé, una realtà indipendente dal visibile, auto generata, qualcosa di parallelo alla natura. L’esempio più rigoroso di un tale trascendentalismo formale si è avuto con Piet Mondrian – affiliato alla società teosofica di H.P. Blavatzky già nel 1909 – secondo il quale la vera pittura si basava su rigorosi rapporti di linee e colore, “quale espressione della bellezza della vita umana, immodificabile ma pur sempre commovente, svincolata dalle banali soddisfazioni e dagli inconvenienti passeggeri”. L’arte, allora, è apparsa uno strumento di conoscenza ancora più profonda, in grado di generare emozioni e pensieri inediti, costruiti dall’incontro con forme e colori puri, con accadimenti autonomi esenti da relatività perché creatisi indipendentemente da tutto quello che ci appartiene in termini di percezione e sentimento. L’artista che è pur sempre parte del gioco creativo, dopo aver liberato l’arte dalla necessità di rappresentare, ha lasciato così il posto a qualcosa di diverso, a un “io generatore” che svuotatosi del ruolo demiurgico ne ha assunto un altro. Nel rinnovamento dell’arte occidentale hanno così giocato un ruolo assai importante gli interessi artistici per la scienza sacra e la teosofia, nonché l’incontro con altre culture ed esperienze spirituali, soprattutto orientali, come il buddismo e lo zen. In definitiva, è avvenuto qualcosa di diverso da quanto successo alla metà dell’ottocento, quando artisti come Manet, van Gogh e Rodin si erano appassionati alla pittura e alla grafica giapponese, così come alla danza indocinese. E dopo la fase positivistica della scienza moderna gli artisti si sono ribellati alla supremazia della realtà e alla certezza materiale, in parallelo con le nuove scoperte nel campo della fisica e dell’astronomia orientandosi verso il vuoto e la materia oscura, l’energia invisibile e le strutture fondamentali della realtà. Allo stesso tempo, sono venute a essere modificate la percezione dello spazio e del tempo, assieme alla loro stretta interdipendenza, mercé le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, tra le quali la teoria della relatività di Einstein, gli studi sui fenomeni elettromagnetici e le radiazioni. Tornando a Kandinsky, e al suo vangelo Lo spirituale nell’arte scritto nell’estate del 1909, l’artista faceva notare come ci fossero in Europa e non solo scienziati pronti a negare la sussistenza della materia sui cui si fondava la certezza dell’esistenza di tutto l’universo e a tal proposito scriveva: “La teoria degli elettroni cioè dell’elettricità in movimento che sostituisce completamente la materia, sta trovando degli audaci propugnatori che oltrepassano a volte i limiti della prudenza… Vari scienziati, fra cui dei materialisti puri, si dedicano all’analisi scientifica di fatti misteriosi, che non si possono più negare o nascondere. D’altra parte sta crescendo anche il numero degli uomini che non hanno fiducia nei metodi della scienza materialistica quando è in gioco la non materia, o una materia inaccessibile ai nostri sensi”. Sulla base di queste nuove rivelazioni, quali fautori profetici di una nuova fede, sia Kandinsky che Malevic e Mondrian, e altri ‘spiritualisti’, hanno avuto in comune l’obiettivo di cambiare il mondo, ritenendo che arte e vita si sarebbero avvicinate con la scomparsa dalla scena artistica del quadro e della statua a favore di un’arte realizzata: “Nell’avvenire l’idea neoplastica si sposterà sempre più dall’opera d’arte verso la propria realizzazione della realtà palpabile, sostanziandola della propria vita. Ma perché questo avvenga occorre che la mentalità, almeno quella di un gruppo privilegiato di persone, si orienti verso una concezione universale e si affranchi dall’oppressione della natura. E quale felice avvenire, quando non avremo più bisogno dell’artificio quadro o statua”. Quelle loro creazioni astratte, annunciavano l’avvento di un mondo migliore, di un paradiso che storicamente non si è avverato. Il modernismo non ha, infatti, arginato l’affermazione del male e la decadenza, tutte le tragedie pressoché apocalittiche conosciute con la prima e la seconda guerra mondiale, con lo sterminio di massa e l’atomica. Ciò non vuol dire però che quelle idee, quelle estetiche si siano esaurite perché su altri versanti sono continuate le ricerche in senso spiritualista e neo-plastico, e la lezione dei primi astrattisti ha generato nuove forme d’arte dalla seconda metà del novecento.

 

Anni spaziali

Un nuovo progresso nell’arte, figlio dello spirituale nell’arte e del formalismo trascendentale, si è riprodotto, infatti, negli anni successivi la fine del secondo conflitto mondiale, quando innovazioni tecnologiche e scientifiche impensabili fino allora hanno permesso all’uomo moderno e post-moderno di raggiungere risultati e conoscenze inaudite. Lucio Fontana, assieme a un altro manipolo di artisti, pubblicò nel 1946 il primo Manifesto Blanco, seguito poi dal Primo manifesto dello spazialismo nel 1947, con i quali si annunciavano cambiamenti radicali nella società come nell’arte, proprio a partire dall’evoluzione delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie, tra cui televisione, radar, radio-telescopi, vettori aerospaziali eccetera: “Le scoperte smisurate della scienza gravitano su questa nuova organizzazione di vita. Il ritrovamento di nuove forze fisiche, il dominio sulla materia e lo spazio impongono gradualmente all’uomo condizioni che non sono mai esistite in tutto il corso della storia. L’applicazione di queste scoperte in tutte le forme della vita produce una modificazione nella natura dell’uomo. L’uomo prende una struttura psichica differente. Viviamo l’era della meccanica. Il cartone dipinto e il gesso eretto non hanno più ragione di essere… Si richiede il superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica. È necessaria un’arte maggiore in accordo con le esigenze dello spirito nuovo”. Fontana dichiara che l’artista del tempo contemporaneo si dedicherà al concretizzare l’energia presente nell’universo, a partire da quella psichica dell’inconscio per  finire in una sintesi totale con quella del cosmo: “Prendiamo l’energia propria della materia, la sua necessità d’essere e di svilupparsi. Postuliamo un’arte libera da qualunque artificio estetico”. Energia più luce, movimento più colore, sono gli elementi costitutivi dell’arte spaziale. Tagli, buchi, estroflessioni, ambienti costituiscono il nuovo vocabolario di Fontana spazialista, espressione di un’immaginazione libera da ogni dipendenza naturalistica tradizionale, quale sintesi di un processo di crescita continua che va dall’arte rinascimentale e barocca al futurismo e all’astrazione. Fontana ha ben chiaro quale sia il punto di svolta. La conquista dello spazio ha cambiato il rapporto dell’uomo con il piano di rappresentazione, quindi il rapporto tra finito e infinito, tra tempo esistenziale ed eternità: “La vera conquista dello spazio fatta dall’uomo, è il distacco dalla terra, dalla linea d’orizzonte, che per millenni fu la base della sua estetica e proporzione. Nasce così la quarta dimensione, il volume è, ora, veramente contenuto nello spazio in tutte le sue dimensioni. La prima forma spaziale costruita dall’uomo è l’aerostato. Col dominio dello spazio l’uomo costruisce la prima architettura dell’Era Spaziale – l’aeroplano. E queste architetture spaziali in movimento trasmetteranno le nuove fantasie dell’arte. Si va formando una nuova estetica, forme luminose attraversano gli spazi. Movimento, colore, tempo, e spazio sono i concetti della nuova arte. Nel subcosciente dell’uomo della strada una nuova concezione della vita; i creatori iniziano lentamente ma inesorabilmente la conquista dell’uomo della strada. L’opera d’arte non è eterna, nel tempo esiste l’uomo e la sua creazione, finito l’uomo continua l’infinito”. Ora, se con Fontana si assiste all’evoluzione di quelle tensioni spiritualiste che avevano animato la scena artistica del primo novecento, imponendo la supremazia dell’immaginazione mistica e dell’immaginario dell’inconscio sulla logica ferrea del formalismo e del costruttivismo, è con un artista come Castellani che invece riprende vigore, dopo la stagione dominata dall’informale, la fede nell’autonomia dell’arte e dei suoi oggetti, come dimostrato da Piet Mondrian e grazie alla produzione di elementi auto rappresentanti, dai primi quadri astratti rigorosissimi alle ultime complesse costruzioni come Boogie woogie del 1942. Così tra la fine degli anni cinquanta e i primi del sessanta ecco che la storia dell’arte italiana si viene arricchendo, dopo i celebri tagli di Lucio Fontana, anche della prodigiosa invenzione delle estroflessioni di Enrico Castellani, opere realizzate con tela e elementi strutturali, in cui i punti di tensione sono  distribuiti rigorosamente seguendo gli assi paralleli e ortogonali per definire ritmi e movimenti di luce-forma. Solo per ricordare come il dialogo tra Fontana e Castellani abbia viaggiato, quasi in parallelo, sebbene si sia sviluppato per contrapposte intuizioni dello spazio-tempo rispetto all’occupazione del mondo reale, almeno fino al 1968 anno di morte dell’artista argentino.

 

Illuminazioni e vibrazioni

Queste sono le coordinate culturali necessarie per meglio comprendere la ricerca di Pino Manos che dai primi anni sessanta ha indagato le potenzialità di un linguaggio artistico astratto e non rappresentativo, riconoscendosi sia nelle tesi spiritualiste di Kandinsky (“qualcosa di illuminato pervade il cosmo e attraverso vibrazioni di natura ancora sconosciuta, trasmette, in maniera più o meno intensa, ai centri nervosi dell’uomo, impulsi che generano turbamenti interiori ben definiti” dichiara Manos), sia nella fede neo-plastica di Mondrian (“quattro idee determinanti mi guidano nella concezione del lavoro: lo spazio, il tempo, la vita, e il flusso cosmico. La prima è suggerita, oltre che dall’impostazione unitaria d’assieme, da vuoti, forme e materiali” è sempre Manos che parla), artisti quest’ultimi accomunati dalla frequentazione della società teosofica e dallo studio della scienza sacra di Rudolf Steiner. Serve quindi tornare nella Milano della fine degli anni cinquanta per scoprire quale sia stato l’humus necessario a instradare il giovane artista sardo, cui fin da subito, cioè dal suo primo soggiorno milanese, si chiarirono le coordinate. Così scrive Pino Manos nelle sue memorie a tal proposito: “La vita artistica a Milano negli anni 50′ e 60′ era molto particolare perché era finita la seconda guerra mondiale, e per tutto il tempo del fascismo in Italia non si erano ricevute informazione su quanto realmente avveniva nel mondo, soprattutto riguardo all’arte. Nasceva così in noi artisti, pittori, scultori, architetti, poeti (in particolare Quasimodo, Ungaretti, Montale) l’esigenza di comunicare e di incontrarci non solo nelle gallerie e negli atelier degli artisti ma anche nei bar, nei ristoranti e nelle cantine a lume di candela, quasi come dei cospiratori per poter decidere e sviluppare un nuovo modo di intendere la vita e pensieri creativi. In questo modo con Lucio Fontana, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti, Bruno Munari, Marino Marini, Agostino Bonalumi, Alberto Burri ed altri abbiamo sviluppato quello che oggi viene riconosciuto come movimento d’arte moderna italiana”. In quel laboratorio di idee e di invenzioni che era Milano, Manos consolida speciali amicizie, come quella con Enrico Castellani, incontrato nel 1951 all’Accademia Cimabue di Milano, e quella con Lucio Fontana, con cui collaborava allo Spazialismo”. Milano era dunque un crogiolo di idee e di possibilità, una vera e propria officina culturale e un ambito luogo di sperimentazione in piena espansione. Solo a Milano si attuarono, infatti, proficui scambi di informazioni ed esperienze internazionali che dettero modo di recuperare il ritardo di conoscenze ed esperienze provocato dalla dittatura fascista, durante l’autarchia, con l’insistere sulla tradizione e il nazionalismo, imposto ideologicamente con Novecento e per merito di Margherita Sarfatti. Tra gli atelier, le gallerie, i bar e le trattorie, è anche dato riallacciare quei rapporti con l’arte moderna astratta che si erano consolidati nella galleria Il Milione prima del 1937 dove giovani artisti e architetti (Fontana, Melotti, Rho, Ghiringhelli, Soldati, Veronesi, Licini, Figini e Pollini) avevano potuto conoscere dal vivo le opere di Ernst e Leger, Kandinsky, F. Vordemberge-Gildewart, Albers, avere notizie su quanto accadeva alla scuola del Bauhaus, in Olanda e in Francia, anche attraverso riviste come Cercle et carréArt concret e Abstraction-Création . Ed è in questa dimensione vitale della cultura artistica milanese che intercetta Manos, arrivato dalla Sardegna, con un carico di sentimenti e valori anche ancestrali e imperituri. A Milano si iscrive al Politecnico, poi a Firenze frequenta e si laurea in Architettura,  raggiungendo una visione molto ampia non solo dell’arte ma del rapporto sociale e umano che coinvolge la totalità della vita. Questo desiderio di apertura anche spirituale, non solo culturale o tecnologica, lo induce a muoversi in svariate direzioni, anche in senso geografico. Nasce in lui la necessità “di viaggiare molto in varie parti del mondo per acquisire un modo d’essere diverso; dove può fare conoscenza diretta di forme d’arte molteplici nonché incontrare artisti di tutti i continenti. Così ricorda come nel corso dei suoi vari soggiorni in India e nel Medio-Oriente, incontra i maestri di meditazione, Lama Tibetani, maestri Sufi, mistici Cristiani e Rabbini Ebrei. Avendo modo di sviluppare l’immanenza e approfondire il tema dell’energia cosmica.

 

Il vuoto è energia. Unità di cosmo e uomo.

Sono esperienze fondamentali che lo porteranno a far proprie alcune certezze estetiche: “Quattro idee determinanti mi guidano nella concezione del lavoro: lo spazio, il tempo, la vita, e il flusso cosmico. La prima è suggerita, oltre che dall’impostazione unitaria d’assieme, da vuoti, forme e materiali. Così la rete metallica, ad esempio, con la trasparenza connaturata alla sua natura non è soltanto involucro, ma genera e suggerisce, come tutti i vuoti, un legame tra spazio interno ed esterno, l’inserimento di superfici più o meno speculari, una continuità ambientale, la presenza di corpi che chiamo “intensità statica” (vedi, metallo, sabbia e cemento) confermano la natura del nostro pianeta. La seconda nasce da un rapporto tra la prima e la natura che ci detta dentro. Gli spazi vuoti dovuti al materiale aperto o squartato, con le ombre proprie e portate, costituiscono un’irrequietezza dinamica che si ripercuote nel subconscio (tempo presente e prossimo). Le ossidazioni materiche e la loro rugosità sono il presente e il passato.

La terza è palese nel gesto umano che guida il lavoro, nel contatto tra realtà e forze potenziali del sentimento, e ancora in quell’inquietudine che fermenta e stimola il processo creativo.

La quarta è dovuta a una personale ideologia: qualcosa di illuminato pervade il cosmo e attraverso di vibrazioni di natura ancora sconosciuta, trasmette, in maniera più o meno intensa, ai centri nervosi dell’uomo, impulsi che generano turbamenti interiori ben definiti”. Nel corso di un cammino coinvolgente aspetti diversi tra estetica e filosofia, artigianato e scienza sacra, Manos ha sviluppato una ricerca che attraverso un lento lavoro di meditazione e concentrazione, “ di silenzio interiore” si è spostata dagli aspetti formali a quelli spirituali: “Le mie opere sono una sintesi fra la pittura, la scultura e l’architettura come sintesi delle arti.  Mentre il colore è fondamentale in quanto Luce e con le tecniche di meditazione sono arrivato alla conoscenza che ogni raggio cromatico non solo possiede una sua lunghezza d’onda ma una sua direzione nello spazio ben precisa. Pertanto prima di iniziare un lavoro procedo alla purificazione e alla rigenerazione del materiale che devo usare, contemplo il colore che devo usare sino ad immergermi totalmente in esso.  Nasce così attraverso la visualizzazione creativa il progetto da eseguire. Questi particolari fanno si che l’opera finita sia pregna di vibrazioni provenienti dai piani alti dello Spirito in risonanza con la totalità della vita e allo stesso tempo accessibili a tutti.”

 

Animazione cosmica

Valore principale di questa ricerca sul fare e conoscere superiore dell’arte è la luce, indagata non tanto come effetto del naturale avvicendarsi di giorno e notte, illuminazione e oscurità, ma come animazione cosmica che determinando la sostanza del visibile inferisce nella percezione ottica immediata della forma con fantasie e giochi variati e sempre diversi, ma apre a realtà spazio-temporali altre (quinta dimensione) nel profondo della contemplazione, esperienza necessaria per conoscere oltre la superficie delle immagini la natura cosmica dell’essere nell’esserci. L’artista è quindi passato da una ricerca formale nella scia del neo-plasticismo e della lectio rigorosa di Castellani, le estroflessioni, a una formulazione propria di grammatiche geometriche e ottiche giocata con monocromi e nastri estroflessi, sempre basate sullo studio dei rapporti di luce e ombra da cui si generano anche movimento e vuoti tra gli spazi e i volumi di superficie, ritmi e pause che danno forma a risonanze infinite e profondi silenzi: “La particolare tecnica creativa da me utilizzata con il monocromo e l’estroflessione di nastri fa’ si che si sviluppi un rapporto fra luce ed ombra dove lo stesso colore vibra a lunghezze d’onda diverse coinvolgendo lo spettatore nella dinamica dell’opera stessa che muta con l’angolo di osservazione e con l’atteggiamento mentale e interiore dello spettatore stesso. La sintesi che io ricerco fra pittura, scultura e architettura comporta un’integrazione con tutte le arti che nel rapporto luce ombra colore e con la ripetizione delle linee di forza diventa un ritmo musicale. Molti critici d’arte hanno percepito nelle mie opere questo ritmo musicale che nasce dal silenzio e si sviluppa nella dimensione tempo spazio e nel suo contrario cosa che dà all’opera stessa una sua pregnanza particolare”. Lara Vinca Masini intuiva già nel (?anno?) che “Il valore cromatico, che sta alla base delle numerose e significanti prove di Manos nel campo del disegno e della pittura – e le diverse vie, le inquiete deviazioni, instancabili e ripetute quasi a cimentare, con spericolata audacia, con sempre nuove difficoltà, una urgente e indomabile vena –  si accentua nelle sculture (appunto picto – plastiche) dove anche le ombre, creano rapporti variabili secondo la luce, risolvono in senso luministico la misteriosa sintesi spazio temporale”. 

Così Manos attraverso l’arte astratta e neo-plastica scopre e rivela una dimensione ulteriore ed esercitandosi nel silenzio di una visione superiore rinasce nell’arte con la consapevolezza che qui e ora si dà una unione sincronica tra dimensioni e realtà che solo lo spirito può vivere e l’arte manifestare. Esperienze e concetti che prenderanno forma pubblica dalla redazione del Manifesto della Luce nel 2002 al Manifesto della Sincronicità pubblicato nel 2010. Le sue estroflessioni cromatiche, sono il suo passo oltre lo spazio della materia, ma sono anche la profonda intuizione di quelli che oggi conosciamo come flussi vitali. Manos fa un passo ulteriore rispetto alle ricerche a lui contemporanee: assimila l’idea del superamento dello spazio tridimensionale, che Fontana realizza tagliando e forando le sue tele e che in Castellani assume la forma delle dilatazioni spaziali all’esterno della tela attraverso le sue estroflessioni, e irrompe nell’ambito della curvatura dello spazio cosmogonico e dei campi vibrazionali che sono alla base di tutta l’evoluzione. Le torsioni che provoca e immette nelle sue opere sono veri e propri campi vibrazionali, che scorrono ad intensità diversificata. Sono torsioni che hanno un legame invisibile con l’energia che muove l’universo, come le più pionieristiche ricerche scientifiche affermano parlando di “campi torsionali” o “onde torsionali”, riferite al flusso spiraliforme di energia-tempo scoperta dall’astrofisico Nikolai A. Kozyrev e dimostrata nel 1913 dal fisico Eli Cartan. Secondo questi studi, il flusso di spazio e tempo nella teoria della relatività generale di Einstein non solo “curvava”, ma possedeva in sé stessa anche un movimento di rotazione,  spiraliforme, conosciuto come “torsione”. La stessa doppia elica del Dna, individuato nel 1869 e accertata solo nel 1953, è un flusso di energia con andamento spiraliforme, torsionale, che contiene ogni memoria e ogni informazione. Le torsioni luminose di Pino Manos indagano le nuove possibilità dello spazio e della materia, approdando in quella dimensione definita come “vuoto”, ma che, grazie alle ultime scoperte scientifiche si è scoperto attraversato da una fonte di energia in divenire. Non solo tutta la materia fisica è composta di pura energia, come sostiene la teoria della relatività di Einstein, ma l’energia compone ogni aspetto della creazione, compreso quello che si definiva come “vuoto” o “materia oscura”. 

 

Etere. Prana. Energia. Sincronicità

Merita soffermarsi su Nikolai A. Kozyrev, oggi riconosciuto come un pioniere del XX° secolo nelle ricerche sullo spazio e sui flussi di energia. Secondo lo scienziato russo tutte le forme di vita sarebbero composte da una forma di energia invisibile a spirale, un Etere di energia invisibile. Il termine “aether”, dal greco “splendore”, è l’energia invisibile che pervade ogni cosa, conosciuta in oriente come Etere, Prana, o Akasha, e classificata come “massa oscura” o “vuoto” dalla scienza. Le scoperte più recenti sulla “massa oscura” parlano di “energia oscura”, di “particelle virtuali”, di “vacuum flux”, o “energia del punto-zero”, e hanno portato a riconoscere l’esistenza di un medium energetico nascosto nell’Universo. L’Etere, o Energia del Punto Zero, è il Quantum Medium, la sorgente di Energia Universale, invisibile, fluida che costituisce e compone ogni cosa e che nel suo continuo movimento spiraliforme, torsionale, concorre costantemente alla creazione. Ecco allora che le tele di Pino Manos partecipano al continuo divenire, evolvendo lungo queste torsioni, costanti, continue, che generano onde cromatiche intense. Il percorso che l’occhio compie muovendosi lungo le vibrazioni cromatiche della tela, ha la stessa qualità meditativa del percorso iniziatico lungo il labirinto. Condividendo questo momento contemplativo e meditativo, si partecipa al flusso vitale che avviene ora, in questo stesso istante, nel presente. Coinvolge l’Universo, la Terra, l’uomo, chiamato a partecipare consapevolmente a questo moto sincronico. Il diventarne consapevole corrisponde ad un movimento, un salto oltre la terza dimensione, verso la quinta già sensibilmente percepita. “(…) Vorrei approfondire la “sincronicità” che si è formata in me attraverso lo “spazio essenziale” della filosofia indiana e del taoismo. Lo spazio essenziale è una soggettività astratta e nuda che esiste dentro di te, eterna e infinita, ma soggettiva. Lo spazio è caratterizzato dal movimento; in altre parole, movimento”. Alla vibrazione emanata nel campo della sincronicità, Manos associa la forza emanata dal colore. Ogni colore possiede una propria vibrazione luminosa, legata all’ottava cui appartiene. È dunque intimamente unito anche alle qualità vibratorie della musica. La scelta dei colori diventa quindi per Manos molto importante. I colori vengono sentiti e preparati, puliti, purificati così come tutti gli strumenti del lavoro. Processo manuale, concentrazione e intuizione, percezione sublime e visione trascendentale, formalizzazione nell’opera, tutto ha un valore spirituale altissimo e l’artista la deve approcciare con la giusta preparazione. Come gli stessi pittori di icone usavano fare, Manos inizia il suo rituale di meditazione e contemplazione che dura fino al momento della conclusione dell’opera. Dal silenzio meditativo nascono opere in cui il colore e il linguaggio delle torsioni assume una valore anche musicale. La poetica di Manos sposa, dunque, il ritmo musicale, armonico del suono, del colore, della modulazione degli elementi che si perpetuano in un processo creativo oltre l’orizzonte visibile. Nascono allora le Sincronicità di giallo solare, rosso fluo o rosso fuoco immanente, blu intenso o blu armonico oltremare, nero profondo, energetico, bianco dinamico o armonico bianco: “I miei colori provengono da pigmenti puri. Mi piacciono tutti, anche se amo particolarmente il bianco, il nero dal quale emana luce, il rosso, così come il luminoso e il blu intenso…”. Estroflessioni che sono campi torsionali pervasi di colore puro in composizioni dinamiche ritmiche. Le intermittenze di vuoto e pieno, di alte tensioni e spazi più silenziosi, di luci e ombre, diventano veri e propri percorsi sinestetici. “La particolare tecnica creativa che ho usato con il monocromo e le bande di rilievo ha dato origine allo sviluppo di un rapporto tra ombra e luce, dove lo stesso colore vibra su diverse lunghezze d’onda, coinvolgendo lo spettatore nelle dinamiche dell’opera in sé, che cambiano a seconda l’angolo dal quale viene visualizzato, ma dipende anche dall’atteggiamento mentale e interiore dello spettatore”. Per comprendere ulteriormente cosa intende Manos per sincronicità è utile far riferimento alle sue dichiarazioni: “L’essere che sa’ vestirsi dell’essenza diviene in effetti Sincrono con la realtà, trapassa il tempo e coglie l’ora, quel momento reale che sa’ fare del nulla l’assoluto e dell’assoluto la realtà esente di relatività. Sviluppa un’azione unica che la vita esprime esponendo se’ stessa come reale conseguente dell’animazione. Come causa che sgorga dal nulla per manifestare concretezza e relativa capacità. …Il pensiero della “Sincronicità” comporta una consapevolezza che attualmente pochi esseri umani hanno, ma il compito dell’artista è di sondare nel non conosciuto e di additare all’umanità un nuovo modo d’essere per realizzare la propria vita in prospettiva di qualcosa che nel tempo sarà accessibile a tutti. Vorrei approfondire la “Sincronicità” che è nata in me attraverso lo “spazio essenziale” della filosofia indiana e del Taoismo: Lo spazio essenziale è una soggettività nuda, astratta esistente in sé, eterna ed infinita, ma soggettiva.   Lo spazio è caratterizzato dal movimento cioè dal moto. L’essenza del moto è anche l’essenza della realtà quindi è essenziale connaturata all’assoluto. Poiché il moto e il movimento derivato dall’assoluto è un moto eterno ed infinito, non essendo limitato esso è riposo. Ha una potenza infinita così come la velocità delle vibrazioni, tanto che i nostri sensi non possono percepirlo. Diventa pertanto Assoluto come riposo e immobilità. La velocità di vibrazione è tale che l’universo, il moto assoluto e l’essenza del moto sembrano immobili.  Tale da percepire la natura in uno stato di “Imperturbabilità”. In realtà bisogna percepire l’Assoluto perché la velocità “Spazio Essenziale” è superiore a quella velocità che l’uomo considera movimento. Ne deriva che esso è immutabile e costante ed è espressione di un’innata connaturata essenza presente in tutti i fenomeni dell’universo. L’essenza della vita diventa pertanto: “QUA E SUBITO”.

 

Arte come strumento di elevazione e di riconciliazione

L’arte, in questo senso, non può escludersi dalla vita, e l’artista desidera ricollegare la conoscenza rivelata all’io all’esperienza altrui attraverso l’incontro con l’opera, che non è residuo di una dimensione inconoscibile o irraggiungibile, ombra o simbolo, ma presenza, animata di un’energia assoluta che rende accessibile qui e ora l’assoluto. Per Manos quindi l’atelier si fa stretto e sente l’esigenza di riguadagnare lo spazio pubblico, la comunità degli uomini per condividere con gli altri la conoscenza creativa dell’assoluto come compimento della ragion d’essere al mondo in un tutt’uno con la vita del cosmo: “Questo atteggiamento nella mia vita e la presa di coscienza di valori totalmente nuovi ha fatto si che abbandonassi il mio atelier come centro della mia attività creativa e allargassi alla strada e all’umanità la mia esperienza di uomo e di artista con la prospettiva di una nuova umanità tendente a superare la dualità per entrare nella quinta dimensione “espressione dell’anima”.

 

Sergio Risaliti

E’ stato detto che l’arte di questi ultimi anni , con i suoi orfismi rituali e il suo volto di medusa sprofondato nelle tempeste dell’incosciente collettivo , costituirà per lungo tempo una categoria dello spirito .

La poesia dell’ “incertezza disperata” troverà ancora degli adepti in mezzo da alcune nature estetizzanti. Ma ora, da ogni parte si vede veramente il bisogno di far quadrare nelle possibilità dell’espressione, il punto focale della coscienza.

Sta nascendo una nuova esigenza di razionalismo , il bisogno di realizzare una visione in “campo lungo” , nello spazio continuo che si risolve , oggi , in una bidimensionalità tutta proiettata sulla superficie del quadro .

Questo significa, a nostro avviso, voler stabilire una focalità, un punto di distensione , anche relativo, tra se’ stessi e il caos, un luogo attivo della coscienza.

Secondo questa esigenza si svolge l’esperienza di Pino Manos , volta ad una possibilità di intervento nel dinamismo dello spazio continuo e della realizzazione che in lui acquistano significato nel rapporto di continuità tra una radice naturale atavica , la terra sarda con l’asprezza della sua natura ingrata e meravigliosa , di qui quella che Manos chiama ( il senso tattile dei materiali ) e la sua predilezione per le materie grezze , cemento , sabbia , rete metallica , che egli fonde e unisce in una suggestiva ricerca di rapporti plastici e cromatici e la consapevole e viva intenzione di inserirsi nel vivo di un’esperienza artistica internazionale.

Poiché io credo nella politica di ogni artista, come segno di serietà e di impegno personale, al di là – in più o in meno -del risultato effettivo, mi piace citare qualche riga che direi autobiografica dello stesso Manos: -“Quattro idee determinanti mi guidano nella concezione del lavoro: lo spazio, il tempo, la vita e il flusso cosmico.

La prima è suggerita, oltre che dall’impostazione unitaria d’assieme, da vuoti, forme e materiali. Così la rete metallica, ad esempio, con la trasparenza connaturata alla sua natura non è soltanto involucro, ma genera e suggerisce, come tutti i vuoti, un legame tra spazio interno ed esterno; l’inserimento di superfici più o meno speculari, una continuità ambientale; la presenza di corpi che chiamo (intensità statica) (vedi metallo, sabbia e cemento) confermano la natura del nostro pianeta. La seconda nasce da un rapporto tra la prima e la natura che ci detta dentro. Gli spazi vuoti dovuti al materiale aperto o squartato, con le ombre proprie e portate, costituiscono un’irrequietezza dinamica che si ripercuote nel subconscio (tempo presente e prossimo). Le ossidazioni materiche e la loro rugosità sono il presente e il passato. La terza è palese nel gesto umano che guida il lavoro, nel contatto tra realtà e forze potenziali del sentimento, a ancora in quell’inquietudine che fermenta e stimola il processo creativo. La quarta a una personale ideologia; qualcosa di illuminato pervade il cosmo e attraverso vibrazioni di natura ancora sconosciuta, trasmette, in maniera più o meno intensa, ai centri nervosi dell’uomo, impulsi che generano turbamenti inferiori ben definiti”.

Il valore cromatico , che sta alla base delle numerose e significanti prove di Manos nel campo del disegno e della pittura e le diverse vie , le inquiete deviazioni , instancabili e ripetute quasi a cementare con spericolata audacia , con sempre nuove difficoltà una urgente e indomabile vena –  si accentua nelle sculture ( appunto picto – plastiche ) dove anche le ombre , creano rapporti variabili secondo la luce , risolvono in senso luministico la misteriosa sintesi spazio temporale .

Lavoro dunque , questo di Manos , di istinto e di serio impegno umano e culturale.

Che è come dire di sicuro e chiaro avvenire.

Lara Vinca Masini

… Manos sperimenta quello che egli chiama il destino dell’espressione del tempo tecnologico .  Le macchine , dice , lasciano tanto tempo libero all’uomo , tempo per guardarsi dentro e dire che cosa c’è  : ma dall’altra parte gli rendono anche più difficile questo lavoro , perché rivoluzionando il rapporto fra l’uomo e il reale , togliendo di mezzo ogni altra difficoltà di tipo semantico lo obbligano a cercare nuove vie per disegnare il suo ritratto.

La ricerca di Manos è moderna, raffinata, misteriosa, sofisticata: qualcuno di questi aggettivi è già stato usato, per lui; per precisare, però, che non c’è nulla di intellettualistico, e che la lucidità con cui Manos controlla le effusioni del proprio estro e la sua stessa vocazione all’eleganza figurativa garantiscono che su questa strada può approdare ad altri risultati autentici e interessanti come questi e più di questi .

Manlio Brigaglia

Manos ha sperimentato molte vie per riuscire a trovare una vera espressione della sua natura artistica. Questa mi si rivela attraverso le sue ultime tele; controllato, ingegnoso misterioso, egli ha trovato una vena di godimento poetico che indubbiamente riesce a comunicare anche agli altri. Tuttavia dietro questi segni estremamente pacati ed evocativi, i suoi rilievi e le sue sculture sprigionano uno splendore barbarico e cupo, che forse ha effetto più immediato. La sua tecnica nuova tende ad una eccitante scoperta; il confine fra pittura e scultura, problema vivo nel pensiero dei pittori d’avanguardia. Manos sa come usare le proprietà riflettenti della luce per spezzare o pianificare le sue composizioni e le sue superfici rugose segnate dale temperie eco forse di qualche distesa di rocce e di rupi della sua nativa Sardegna.

Manos è uno di quei pittori il cui lavoro fa meditare: egli non prosegue mai nella direzione più semplice e facile, ma al contrario e le sue opera hanno una sensibilità talmente profonda da dover essere guardata poco a poco.

L’organico e lo strumentale sono meravigliosamente integrati in un insieme convincente che stimola l’immaginazione ad esplorare la strana terra sconosciuta che le sue opere rappresentano come se fosse attraverso il cambiamento delle stagioni, attraverso il velo del mare e del cielo notturno.

1964

David Russell

La luce interiore delle forme

Nella ricerca artistica di Pino Manos (nato a Sassari nel 1930) la pratica del disegno cresce parallela a quella pittorica. Ne è testimonianza l’accurata selezione di carte presentate in occasione di questa mostra monografica che traccia un ricco e interessante percorso cronologico a partire dalla fine degli anni cinquanta (1959-2018).
Quando Pino Manos arriva a Milano, dalla natia Sardegna, sono anni di intenso fervore artistico. Le ricerche tra arte, architettura e design si intrecciano. Il rinnovamento culturale è palpabile come l’intensità del momento di trasformazione che segna la fine della seconda guerra mondiale e l’esplosione economica e sociale degli anni Sessanta.
Per gli artisti da un lato era necessario rompere con il passato, e possibilmente cancellarne l’identità, dall’altra si faceva strada l’idea di definire un “mondo” nuovo, possibilmente concentrato su una dimensione innovativa dello spazio e sul concetto di “umano”. Per alcuni protagonisti il “campo operativo” dell’arte diventava ricerca fisica e percettiva sulla struttura della composizione non più incentrata sul dibattito tra figurazione e astrazione. Il problema della raffigurazione non era la rappresentazione dell’oggetto quanto piuttosto la definizione dell’idea dal punto di vista della percezione. Il pensiero, l’intuizione poetica, creava l’opera d’arte che si definiva nella relazione dinamica tra l’artista e il mondo.
Nel 1959, data della prima carta, Manos è già attivo all’interno dell’effervescente ambiente artistico milanese. Ha frequentato, infatti, l’Accademia di Belle Arti di Brera e ha studiato Architettura presso il Politecnico. Ha conosciuto Enrico Castellani e Vincenzo Agnetti, Agostino Bonalumi e Bruno Munari.
Ad incuriosire Pino Manos è soprattutto la figura di Lucio Fontana con la sua ricerca volta alla definizione di uno spazio “altro”, dove sia possibile coniugare simultaneamente, in una unica opera, gli elementi: colore, movimento, suono, tempo e spazio.
L’esperienza dello “Spazialismo”, manifesto firmato nel 1946 e dedicato a “tutti gli uomini di scienze del mondo” segna, per Fontana e per gli artisti che gravitano attorno alla sua figura, il momento di andare oltre la materia. L’artista, di origini argentine, immagina la superficie della tela non è più uno spazio da riempire di segni, forme e colori ma piuttosto una superficieimmagine in sé: l’immagine di un “luogo” altro. La superficie di Fontana diventa un altrove capace di definire lo spazio dell’osservatore fino a trasformarsi in una realtà architettonica che coniuga i fattori luce-ambiente.
Forte di questi linguaggi innovativi e trattenendo con sé e nutrendo le radici e le storie antiche della propria terra natia, fatta di paesaggi aspri, di silenzi ma anche di grande bellezza, segnata dalla natura particolare dell’isola, Manos intraprende il proprio percorso alla ricerca di significati profondi.
I disegni, realizzati negli anni sessanta, indicano un distacco progressivo dalle esperienze materiche, pur evidenziano elementi che sembrano affiorare da esperienze primarie dove il segno è in piena evoluzione. Da una traccia che si fa pregnante nel centro della superficie ecco che il disegno si espande nello spazio; da centrico si evolve verso un movimento orizzontale che racconta lo spazio architettonico e urbano,attraverso prospettive frontali capaci di trasformarsi negli  anni settanta in atmosfere oniriche, quasi futuribili. Nascono sintesi di archetipi di antiche culture, retaggi dei suoi lunghi viaggi all’incontro con le culture orientali e intuizioni primigenie.
La struttura architettonica per Manos è molto importante: rientra a Milano alla fine degli anni cinquanta dopo aver transitato a Roma e a Firenze, incontrando altri protagonisti fondamentali della scena artistica italiana come Alberto Burri. A Firenze termina gli studi di architettura e come è stato più volte raccontato, nei testi critici che recensiscono il suo lavoro, sviluppa una visione molto personale sulla relazione tra arte e architettura: !quattro idee dominanti mi guidano nella concezione del lavoro: lo spazio, il tempo, la vita e il flusso cosmico”.
È negli anni ottanta che la relazione gestuale diventa sempre più astratta e materica. Da segni che tracciano figure ancora riconducibili alla natura come impronte sedimentate nel paesaggio, ora il disegno procede per variazioni su un tema.
Apparentemente paragonabili a righi musicali o a compatte cancellature, le tecniche miste si arricchiscono di spazi di colore: presenze luminose che affiorano sulla superficie della composizione. La ricerca sulla definizione di un “respiro universale”, generatore di pura energia cosmica, si sta definendo parallelamente all’analisi pittorica dove la torsione degli elementi crea una costante tensione che è scambio di sensibilità e di intelletto, tra conscio e inconscio: dunque di libertà espressiva. Non a caso, la fondazione dell’associazione ‘Il Creativo’ (1980) permette a Manos di utilizzare la creatività artistica come terapia capace di liberare il potenziale espressivo e migliorare la capacità comunicativa di ogni individuo.
Se la relazione con la luce nell’opera pittorica pare essere l’elemento protagonista degli anni successivi, nel disegno è la linea curva a creare un flusso incessante e ondivago, un flusso continuo di energia tra spazi pieni e vuoti, curvi e convessi.
Sono forme circolari a disegnare spirali, elementi quasi meccanici che ricordano l’energia espressa dalla ricerca futurista, che all’inizio del novecento si interrogava sul futuro dell’uomo macchina e sulla dimensione dinamica dell’universo.
Di nuovo il disegno si concentra nel centro della superficie a determinare un pieno e un vuoto, un dentro e un fuori, come se il nostro occhio fosse attratto da un vortice che risucchia tutta l’energia del cosmo verso un centro invisibile, ma percepibile perché pulsante, che si riassume nelle strutture che l’artista chiama “architetture geocosmiche”.
Dal 2000 in poi Manos si dedica alla traduzione di una possibile risonanza cosmica universale. In questo periodo matura la necessità di accompagnare il suo lavoro pittorico e il disegno con testi teorici fondamentali come il !Manifesto dell’Arte della Luce” (2002) e il !Manifesto della Sincronicità” (2010), personali forme di ascensione nella luce interiore.
Sulla carta sagome geometriche si susseguono in forme di ripetizioni, ritmi, spaziature. La loro profondità è sottolineata da sottili pigmenti, tracce di colori primari, che ne accentuano la luminosità. Piccole tessere pulsanti creano intrecci inaspettati come se fosse possibile realizzare un collage di presenze nel puro disegno. Accanto alle strutture che richiamano una sorta di composizione meccanica, Manos lavora su ossature dinamiche complesse per esplorare anche il nucleo più profondo delle cellule, per restituire sulla carta il movimento degli organismi viventi.
Straordinariamente potenti sono le forme ritorte verticali grazie alle quali l’artista costruisce delle quinte scenografiche che trovano una diretta corrispondenza nei dipinti, nella purezza delle forme che disegnano percorsi di luce e ombra, in un flusso che sembra espandersi sull’intera superficie. Le opere si presentano come soffi, come respiri alla ricerca di una perfezione del gesto di chi le realizza e di chi le osserva. La complessità che Manos ci regala nella forza della sua azione ci restituisce l’energia magnetica di un mantra recitato che spinge alla ricerca del proprio sé.
Il disegno è quello spazio privilegiato e segreto dove l’ombra incontra la luce, a rappresentare la spiritualità della materia che si rivela all’umanità.

Giovanna Nicoletti

Pino Manos artista illuminato

“Sassarese di nascita e cosmico d’adozione” è, fra le tante definizioni che dà di se stesso, quella che meglio ne individua le radici mai recise e la lunga ricerca interiore intrapresa parallelamente alla carriera artistica. E’ Pino Manos, l’artista che fino al 14 agosto espone le sue opere alla Frumentaria di Sassari Una mostra antologica dal titolo “Geocroma – Arte della Luce”, patrocinata dall’assessorato alle Politiche culturali del Comune di Sassari, che dà conto del suo percorso creativo attraverso 200 opere. Dalle quali emerge l’esperienza cosmopolita di questo artista, classe 1930, partito giovanissimo  per Milano dove attualmente vive e lavora e dove, nei primi anni Cinquanta, stringe amicizia  con artisti come Marino Marini, Bruno Munari, Gianni Dova, Roberto Crippa e soprattutto con Lucio Fontana.

Da quest’tùtima frequentazione nasce l’adesione di Pino Manos allo Spazialismo, il movimento che proprio in quegli anni l’artista, celeberrimo per i suoi “tagli”, aveva fondato. A Milano Pino Manos s’iscrive alla facoltà di Architettura terminando poi gli studi all’Università di Firenze dove si trasferisce nel 1957. Dunque una vocazione per lo spazio e la tridimensionalità presente anche nella sua produzione artistica. Dai primi anni all’insegna dell’arte, ma anche nel solco di una via tutta interiore che lo porta in Europa e poi in India, Egitto, Marocco, Israele Turchia, Iran, Perù Messico, Stati Uniti e Medio Oriente, Nonostante le molte esposizioni personali e collettive in Italia e in altre parti del mondo, il successo di critica e di pubblico, i riconoscimenti (l’ultimo è il Premio internazionale Anthony Van Dyck conferitogli a Lecce nel 2017)  è la ricerca interiore a prevalere come priorità sulla carriera artistica: <Le mie opere – afferma Pino Manos – rappresentano per me una sorta di “Iila” (gioco creativo del Brahman, l’assoluto divino, a cui gli induisti riducono l’intera realtà incluso il cosmo, ndr.)>.

La sua visione dell’uomo e dcli’ universo risente fortemente delle filosofie orientali: buddismo, induismo, taoismo, Una ricerca che Manos conduce oltre che con i viaggi e l’incontro con le culture che meglio hanno espresso i valori spirituali universali, anche e soprattutto con la meditazione che pratica regolarmente. Le sue esperienze spirituali lo portano quindi nel 2002 a scrivere il “Manifesto del]’Arte della Luce” nel quale descrive i punti fondamentali della sun ricerca artistica, intesa come espressione e derivazione della ricerca interiore. Ricerca che ha come obiettivo la “trasformazione del corpo terreno in corpo di Luce” e la consapevolezza che l’uomo deve acquisire “della propria dimensione multidimensionale, integrata nell’ussoluto e immersa in uno stuto che assorbe il tempo·ed esalta la realtà”. Perciò, prosegue il manifesto, “L’artista illuminato è il luogo dove la luce tornu a se stessa. L’arte della luce tende al risveglio della visione interiore dove la tela divina è pregna di forme, linee, colori, suoni del nostro campo aurico.. , Frequenze, colori, vibrazioni, forme in olografie multidimensionali e interspaziali con visioni sintonizzate con la fonte suprema del nostro essere. La nuova realtà nasce dalla consapevolezza del campo unitario della coscienzu “.

Peraltro le opere esposte alla Frumentaria rivelano la frequentazione dell’artista con le maggiori correnti artistiche contemporanee, non solo lo Spazialismo, ma anche, per citarne alcune, la Pop art, l’Astrattismo, l’Optlcal art, da cui trae ciò che più gli è utile per esprimere una visione dell’arte in cui forma e contenuto, luce e colore, pensiero e roate1ia sono aspetti, apparentemente dualistici ma fondamentalmente inseparabili, di un’unica realtà, quella del mondo spirituale e dunque dell’anima.

Aldilà della catalogazione formale delle singole opere, ciò che comunica l’arte di Pino Manos è dunque la visione di un cosmo che trasuda colore, forme, luce, vita. Una vita che è presente anche nella materia più grezza e in apparenza inanimata come la sabbia, il cemento, la pietra, che l’artista utilizza per dare forma e sostanza al suo mondo interiore.

Tuttavia né la ricerca artistica né quella spirituale lo hanno allontanato dalla realtà quotidiana e dalle sue problematiche. Come testimonia il fatto che nel 1980 abbia fondato a Milano “Il Creativo”, un centro per la socializzazione dell’Arte e lo sviluppo della creatività come elemento terapeutico. Un impegno a tutto tondo nell’arte, nella società e nella ricerca interiore. Un impegno totale da cui nasce un’arte luminosa, colorata e vitale che testimonia come aldilà degli aspetti più dolorosi della vita umana esista un mondo fatto di pura gioia che ciascun uomo porta di dentro di sé “qui ed ora e di cui troppo spesso non è consapevole. Un mondo in cui Pino Manos si è calato per raggiungere i picchi della sua esperienza creativa.

Eugenia Da Bove

Entre o acervo europeu , principalmente italiano , ha’ que distinguir os trabalhos do artista mediterraneo Pino Manos .  Temperamento insular (ele nasce una Sardenha ) que os estasio didacticos em milao , Roma , Venezia e Florenca nao cosmopolitizaram , Pino Manos , hoje em dia tambem arquiteto , fa zuma arte ambivalente , pois tanto pode ser pintura come escultura .  Para o leitor brasileiro entender melhor oque desejamos dizer , seria oportuno declarar que Pino Manos realizou , antes de Franz Krajcberg e Arthur Luiz Piza , experencias de arte geodesica .

Assi mas suas telas devido aos materiais insolitos nelas impregnados , sugerem trechos de dunas , de litorais , de desertos , por causa do efeito em relevos e depressoes de superficies minerais .

Josè Geraldo Vieira

The reliefs Manos explore both poetically and technically new worlds of experience which , however , have their roots deep in the soil of his native Sardinia with it changing colours and rocky surfaces . His methods of working do away with the customary limits of canvas and paint and suggest a new geography of the spirit which is both imposing and subtle . In the forceful movements of these strong works can be felt the echoes of primitive instincts that have their own mysteriours language.

Josè Geraldo Vieira

La posizione di Pino Manos intorno alla valorizzazione delle dinamiche psichiche dell’individuo si basa sull’approfondimento del riverbero interiore della luce,coscienza delle infinite implicazioni della struttura cromatica come lunghezza d’onda immisurabile,emanazione intersoggettiva di potenzialità illimitate. Dalla frequentazione di Baba Bedi e dei suoi ideali fondamentali Manos assimila non solo il desiderio di stimolazione interiore della coscienza ma soprattutto la tensione a misurare l’interminabile flusso energetico della luce.

Essa dialoga con la tenebra producendo la consapevolezza che sotto l’apparente dialettica del bianco e del nero ci sono essenze cromatiche segrete,misteriose,inavvertite,percorsi di conoscenza che l’occhio dell’artista può scoprire ed elargire a tutti attraverso la sua capacità di vedere oltre il visibile.

Con questo spirito l’artista sardo realizza con il massimo rigore spazi estroflessi monocromi,dove il ritmo plastico del colore-luce congiunge pittura scultura e architettura in un unico corpo armonico,visione generatrice di movimenti psichici potenziali.

Claudio Cerritelli

Pino Manos ricontestualizza le forme, declina gli spazi, apre in termini minimalisti la qualità della materia e del colore, facendo si che la natura delle sue opere è affidata tutta a una tensione interna che costruisce e scarta, e si porta verso un nuovo spazio che allarga i confini, sicchè ogni opera diventa un termine discontinuo di una serie infinita;  un lavoro che sistematizza, sovverte, assimila, generalizza, intreccia idee, estende all’infinito i campi di questo infinito gioco di significazione, e si manifesta senza limiti in modo trasformativo, rigoroso, puro.

Carlo Franza

RISONANZE COSMICHE

Parallela alla riflessione che Pino Manos conduce intorno alle connessioni dell’arte con le essenze dell’universo, si sviluppa la sequenza modulare di opere come equivalenti plastici della sua visione cosmico-sincronica.

Si tratta di composizioni realizzate con originale perizia artigianale, nastri di tela irrigiditi con le colle, strutture monocromatiche estroflesse che sollecitano slittamenti e vibrazioni ottiche, sincroniche risonanze oltre il visibile,  continue variazioni percettive, a seconda del punto di osservazione.

Manos realizza con il massimo rigore spazi estroflessi monocromi, il ritmo plastico del colore-luce congiunge pittura scultura e architettura in un unico corpo armonico, visione generatrice di movimenti psichici potenziali.

La scelta monocromatica si predispone ai rapporti di luce e di ombra che stimolano il divenire della visione totale,  valorizzando le dinamiche interiori dell’individuo, soggetto che partecipa direttamente al disvelarsi estroflesso.

Questo metodo costruttivo è dunque sorretto dalla convinzione che il percorso ritmico racchiuso in ogni opera non sarebbe possibile – nelle sue implicazioni più profonde- senza l’intervento di chi le guarda, le assimila, le introietta come tramiti di un processo di autoconsapevolezza critica dell’evento percettivo.

In tal senso, l’operazione di Manos si basa sull’approfondimento del riverbero interiore della luce, processo ininterrotto caratterizzato dalle infinite implicazioni psico-sensoriali che la struttura cromatica sviluppa attraverso precise lunghezze d’onda, emanazioni intersoggettive di potenzialità illimitate.

L’intenzionalità dell’artista non comunica solo il desiderio di stimolazione della coscienza sensoriale ma –soprattutto- la tensione a misurare l’interminabile flusso energetico della luce, la seduzione mentale della tenebra, la sensualità dei movimenti che turbano il piano della superficie con programmata inquietudine.

La pittura dialoga con le virtualità plastiche, le vibrazioni di luce danno peso al vuoto che si insinua nei nastri monocromatici creando continue trasmutazioni di sporgenze e rientranze, stati fisici attivi, non separabili dalle movenze mentali che attraversano il campo d’azione oggettualmente delimitato.

Rispetto alla storia delle estroflessioni degli ultimi sessant’anni (da Castellani a Bonalumi) la specificità del linguaggio di Manos privilegia la ritmica musicale della modulazione visiva, il divenire perpetuo  del colore-suono che si dilata nell’ambiente nella successione degli elementi basici.

Ogni opera -qualunque sia il formato o la dominante cromatica-  è basata su calcolate sequenze di rilievi che si schiudono giocando sulla sottigliezza delle inclinazioni plastiche, tutto si commisura alla perfetta torsione dei nastri, alle interferenze generate dalle graduali consistenze del colore-luce. 

Se l’orientamento verticale suggerisce la vertigine vibratile dello slancio oltre il confine, la scelta orizzontale  allude al movimento dell’osservatore davanti all’opera, suscita i trasalimenti crescenti che l’occhio incontra, captando le tensioni che si vanno esplicitando tra zone luminose e travasi d’ombra.

L’esplorazione di Manos non è solo di tipo analitico ma si apre verso le soglie interne della configurazione plastica, si addentra in profondità e si avvale di percorsi sorprendenti, effetti cromatici che interferiscono con la strutturazione oggettiva delle opere. Ciò è dovuto alle sottili mutazioni del monocromo che va oltre la statica definizione dell’immagine, l’istinto è sempre di attivare differenti stati di luce interne alla disposizione dei rilievi, alla ripetizione del modulo plastico come germinazione che si estende potenzialmente all’infinito.

La dimensione del bianco e del nero evoca tutti i colori, l’arco delle intensità cromatiche è ampio e complesso, le possibilità percettive vanno oltre i codici ottici, sconfinano dai loro stessi perimetri, svelano energie sconosciute.

Il bianco comunica desiderio di purezza, luogo di rarefazione della materia che azzera il superfluo, stato di incantamento dello spirito che si nutre della bellezza delle forme pure, tramiti ideali per interrogare le origini dell’essere.

Il nero trasmette luce interiore che viene dal profondo, da esso emergono  stupori  segreti, misteriose memorie, minime cangianze e palpiti improvvisi, percorsi di conoscenza che l’artista svela attraverso l’attitudine a immaginare spazi oltre il visibile.  Tutto dipende dall’uso del colore, l’argento mescolato alla grafite genera attimi di lucentezza attraverso i quali Manos si sente in unione con le energie galattiche, forze magnetiche che varcano la soglia del non conosciuto.

Le estroflessioni dedicate ai colori fondamentali (rosso ardente, blù meditativo, giallo attivo) creano campi di sospensione contemplativa dove le dinamiche costruttive accolgono lievi soffi d’aria,  intermittenze del vuoto, stati silenziosi ma anche effetti fluorescenti. Si tratta di percorsi sinestetici che si sviluppano tra peso e leggerezza, staticità e vibrazione, affinità e distanze sensoriali già presenti nel reale, antinomie che l’artista affida ai sensi interpretativi dell’osservatore.

Questa gamma di possibilità di lettura è legata alle caratteristiche ambientali in cui le superfici sono collocate , in tal modo si creano congiunzioni e fusioni tra la luce dipinta e la luminosità atmosferica che avvolge la parete espositiva.

Dopo la stesura del “manifesto dell’arte e della luce” (2002-2003), il contributo teorico di Manos intorno alle ragioni filosofiche del fare è affidato al “manifesto della sincronicità” (2010) , proseguimento naturale dell’idea di risveglio creativo che l’artista  coltiva per dare luminosità corporea alla pura essenza delle forme.

Al centro di questa riflessione sta il progetto di vita oltre i paradigmi della storia, unione tra soggetto e sfera collettiva, tra tempo presente e spazio eterno, sintesi tra il sé e il mondo assoluto, dimensione totale dove l’atto creativo illumina il cammino dell’uomo in cerca di risonanze con l’assoluto.

All’utopia dello “spazio-tempo sincronico” si rivolgono –dunque- le opere di Manos, strumenti provvisori per avvicinare quella fusione di energie fisiche e mentali che rappresenta – come suggerisce l’artista- un “salto quantico di qualità” rispetto all’esistente, un salto che gli permette non solo di prendere coscienza di se stesso  ma di identificarsi con l’energia dell’universo cosmico.

Claudio Cerritelli

CATALOGO GALLERIA PIRRA
NOVEMBRE 2023

Manos vede dove l’occhio umano non arriva, rinviene l’estrema velocità nel risposo, ascolta dove l’uomo comune percepisce solo silenzio, in esso sente la musica e attraverso la luce e le ombre trova l’irraggiungibile intelletto umano. Tramite le sue opere trasmette vibrazioni, le quali si tramutano in energie che investono l’uomo nella sua interiorità e diventano un nutriente per l’anima.

Pino Manos, cresciuto nel secondo dopoguerra e segnato dall’autarchia fascista sentendo il bisogno di conoscere il mondo nella sua completezza oltre i confini regionali e nazionali, inizia a viaggiare per l’Italia, in oriente e in asia orientale. Grazie ai suoi viaggi e alle sue esperienze, Manos riesce a comprendere le dinamiche della psiche dell’uomo, esprimendo esse prima attraverso lo spazialismo poi con il manifesto della luce e infine con la sincronicità, dove supererà la terza e quarta dimensione di Fontana, Castellani, Bonalumi, per scoprire e fare sua la quinta dimensione, dove con essa riuscirà ad entrare nel cardine dell’anima degli spettatori mediante le sue estroflessioni e le opere sincrone.

L’obbiettivo finale delle opere di Manos è la trasformazione del corpo terreno in corpo illuminato e trasmettere la consapevolezza che l’uomo deve avere della propria dimensione multidimensionale.      Manos prima di lavorare sull’opera contempla gli strumenti che andrà ad utilizzare, in particolare il colore, elemento cardine per esprimere e trasformare le vibrazioni in energie che colgono lo spettatore dell’opera quasi come un’icona sacra, per arrivare nell’interiorità di chi contempla l’opera.

I pigmenti di colore utilizzati da Manos vanno oltre i tradizionali codici ottici, ma sconfinano in energie sconosciute all’uomo terrestre che portano a una sensazione di pienezza dell’anima; Manos dialoga con il colore, la luce e le ombre che diventano un insieme di energie che toccano nel profondo la psiche dello spettatore.

Osservare l’opera di Manos vuole dire essere parte di un continuo divenire, partecipando ad un flusso vitale che avviene ora, nel presente immediato che coinvolge l’intero cosmo, una volta compreso questo, il tutto diventa un momento meditativo che porta a una maggiore consapevolezza del proprio io interiore.

Pino Manos nasce in Sardegna nel 1930, all’età di ventuno anni decide di trasferirsi nella capitale dell’arte, Milano, per iscriversi all’accademia di Brera, poi al politecnico di Milano per laurearsi infine in architettura a Firenze. A Milano Manos frequenta immediatamente i più importanti salotti e ritrovi della Milano “artistica” di allora, tra cui il famoso Bar Jamaica dove avrà la possibilità di confrontarsi con i più grandi artisti del secondo dopo guerra; fin da subito il giovane Manos spinto da questo ambiente creativo collabora e crea un forte legame di amicizia con Lucio Fontana.

Manos si riconosce subito con gli ideali dello Spazialismo, convinto che oramai fosse arrivato il momento di superare l’arte come era stata concepita fino ad adesso. L’artista spazialista non ha più come priorità la raffigurazione pittorica in sé, non vuole più soltanto “dipingere”, ma inserisce nell’opera la concezione di tempo e spazio. Era giunta l’ora di liberarsi da ogni dipendenza naturalistica classica per lasciare trionfare la smaterializzazione dell’arte stessa a sostegno di spazio, luce e ombre.

Fontana fu il primo a sostenere che l’artista contemporaneo si deve rivolgere alle energie presenti nell’universo, ogni ente è energia e sta all’artista trasmettere queste vibrazioni a chi osserva quest’arte, concetto che Manos farà suo rielaborandolo, arrivando a una nuova visione del movimento spazialista fino a raggiungere quella che è la quinta dimensione.

Un’altra amicizia fondamentale per Manos è quella con Enrico Castellani, padre del minimalismo.

Manos apprende da lui le potenzialità delle luci e delle ombre con l’inclinazione della sorgente luminosa, dando vita ai monocromi estroflessi, i due artisti sono molto vicini per quanto riguarda gli ideali di spazio, tempo e soprattutto ritmo, creato dalla ripetizione di strutture geometriche e linee che hanno come obbiettivo l’azzeramento del linguaggio ordinario.

La linea, il punto, il volume e la reiterazione rappresentano suono e purezza, esse diventano vere e proprie melodie tridimensionali, le quali rievocano sentori e sentimenti primordiali. Manos crea connessioni tra luce, ombra e colore dove il pigmento puro di colore scelto dallo stesso, vibra e attraverso la ripetizione delle linee e del monocromo fa si che l’opera diventi ritmo musicale.

Castellani creò qualcosa che “è e basta”, Manos un qualcosa che “è qui e subito” il fuoco rimane sempre l’essenza dell’essere.

Conclusasi la prima esperienza milanese, dal 1962 Manos comincia a compiere lunghi viaggi per sviluppare un ampio pensiero universale realizzando un vero e proprio percorso spirituale, l’obbiettivo di questi soggiorni è quello di fare ricerche sull’io interiore. Manos rimarrà particolarmente affascinato dalla filosofia indiana ed dal Taoismo, ed è proprio grazie a queste due correnti che Manos inizierà a fare suo il concetto di “spazio essenziale” e sui “flussi di energia”.

Nikolai Kozyrev, astrofisico russo ipotizzò che si potessero avere delle intuizioni extrasensoriali grazie alla capacità di alcuni uomini di sintonizzarsi con l’energia cosmica dell’universo. Secondo lo scienziato russo ogni tipo di forma di vita sarebbe composta da un’energia invisibile a spirale, conosciuta in oriente come Etere.

Manos attraverso le sue opere esprime questi flussi energetici che tramite i volumi e il colore generano onde cromatiche in continuo movimento, le quali incantano l’osservatore; contemplando l’opera appunto si arriva a quello stato meditativo ed è qui ed ora nell’immediato presente che si partecipa a questo moto sincrono che è il flusso vitale. Il divenire consapevoli di tutto ciò è scoprire la quinta dimensione ovvero l’espressione dell’anima. <<L’uomo deve sapersi vestire della propria essenza e colui che sarà in grado, diventerà effettivamente un essere sincrono>>. La sincronicità comporta consapevolezza, la consapevolezza di produrre un’azione unica per essere allineati al progetto di vita cosmica, questa, è uno stato dell’essere, dove vita, morte, luce, oscurità, rumore, silenzio, gioia, dolore, l’essere e il non essere si mutano continuamente nel suo opposto.

La sincronicità nasce in Manos tramite “lo spazio essenziale” della filosofia indiana e del Taoismo, lo spazio essenziale è una condizione di equilibrio, un luogo in movimento dove le energie si muovono e si trasformano, esso è una soggettività nuda astratta esistente in sé, perenne ed inesauribile, ma soggettiva. Pino Manos si esprimeva con queste parole: <<Lo spazio è caratterizzato dal movimento ovvero dal moto, l’essenza del moto è anche l’essenza della realtà quindi è essenziale connaturata all’ assoluto, poiché il moto è il movimento derivato dall’assoluto è un moto eterno ed infinito, non essendo limitato esso è riposo, questo ha una potenza infinita tanto che i nostri sensi non possono percepirlo, diventa pertanto assoluto come riposo e immobilità. Il moto assoluto e l’essenza del moto sembrano immobili, tale da percepire la natura in uno stato di “imperturbabilità”. In realtà bisogna percepire l’assoluto, perché la velocità “spazio essenziale” è superiore a quella velocità che l’uomo comune considera movimento. Quindi esso è immutabile e costante ed è un’espressione di un’innata essenza presente in tutti i fenomeni dell’universo. l’essenza della vita diventa pertanto “QUI E SUBITO”>>

Manos è un artista consapevole e metodico, partendo dalle sensazioni e dagli istinti dell’io, attraverso studio e procedimenti complessi erige le proprie opere, dai disegni geometrici e lineari che spesso sintetizzano gli ideali dei concetti fatti suoi grazie a viaggi ed esperienze con grandiosi maestri, ai monocromi estroflessi, opere che sono in grado di generare emozioni quasi sconosciute e pensieri unici partoriti dall’unione di forme e colori puri. Le opere di Manos nel suo significato più ampio comprendono ogni attività umana, l’opera di Manos è una stupefacente sinfonia di geometrie, volumi e colori e dunque sono proprio questi “elementi “a produrre questo effetto occulto sullo spettatore. Manos tramite le sue creazioni condivide con gli spettatori la conoscenza come consapevolezza della propria dimensione e dell’io interiore.  

Tommaso Polleschi

ARCHIVIO PINO MANOS
curato da Paola Porta Manos

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